mercoledì 7 novembre 2012

L’Inquisizione


L’Inquisizione è un’istituzione ecclesiastica costituita per perseguire e punire l’eresia. La lotta contro le eresie s’impose come una necessità alla Chiesa già delle origini, ma fino al sec. XII l’autorità ecclesiastica si limitò di norma a pene spirituali, di cui la più grave era la scomunica. La maggioranza dei Padri della chiesa condannò il castigo degli eretici per mezzo di pene corporali.
Tuttavia, fin dall’età di Teodosio, dopo che il cristianesimo divenne religione di Stato, molti imperatori ebbero la tendenza ad assimilare l’eresia a un reato di lesa maestà suscettibile d’esser punito con la confisca dei beni o addirittura con la morte, come avvenne, nei sec. IV-V, nella repressione del donatismo (movimento religioso cristiano sorto in Africa).
Questa tendenza si rafforzò nel Medioevo, in quanto la pace dello Stato e della Chiesa appariva strettamente connessa all’unità della fede. Così, dalla seconda metà del sec. XII, quando la chiesa si atteneva ancora al principio enunciato da san Bernardo di Chiaravalle: fides suadenda, non imponenda, “la fede va inculcata con la persuasione, non imposta”, si videro sia dei principi devoti come Luigi VII di Francia, sia dei sovrani ribelli al papa, come Enrico II d’Inghilterra e Federico I Barbarossa, ricorrere a punizioni corporali contro gli eretici. L’ampiezza assunta dall’eresia catara e albigese e le sue implicazioni politiche precipitarono questa evoluzione.
Fu soprattutto per frenare le violenze arbitrarie dei principi e delle popolazioni che la chiesa si preoccupò allora di dare un’organizzazione legale alla lotta contro l’eresia. Affidata dapprima ai soli vescovi (già nel 1215 era stato istituito il Tribunale vescovile dell’Inquisizione), la procedura dell’Inquisizione fu definita nel 1229 in occasione del Concilio di Tolosa, e, così, nel 1231 fu istituito da papa Gregorio IX il Tribunale dell’Inquisizione papale: perciò, all’inquisizione episcopale si aggiunse un’inquisizione affidata a delegati della Santa Sede, soprattutto agli ordini mendicanti, cioè ai domenicani e ai francescani. Nel 1240 l’Inquisizione era già diffusa in tutta Europa, salvo in Inghilterra. L’eretico, caduto sotto la giustizia dell’Inquisizione, se si pentiva, non veniva consegnato al braccio secolare, ma condannato soltanto a una pena canonica (pellegrinaggi, digiuni, assistenza agli uffici divini, ecc.); se, invece, si ostinava, era prima sottoposto a un interrogatorio mirante a provocare la confessione completa dell’eresia e, per costringerlo a tale confessione, si poteva ricorrere alla forza: prolungamento e accresciuto rigore della detenzione (carcer durus), privazione del nutrimento e infine la tortura, che fu autorizzata nel 1252 dal papa Innocenzo IV nella sua bolla Ad extirpenda. Terminata la procedura inquisitoria veniva pronunciata la sentenza: le pene variavano molto, secondo i casi: andavano da semplici penitenze canoniche alla confisca dei beni, all’imprigionamento a tempo determinato o perpetuo, infine alla consegna al braccio secolare, il che significava la morte sul rogo.
Nel sec. XIII l’Inquisizione riuscì a eliminare completamente le eresie catare e valdesi e fu utilizzata in seguito contro gli spirituali francescani, i begardi e i beghine (nomi che, a partire dal XIII secolo, furono utilizzati per indicare membri di associazioni religiose formatesi al di fuori della struttura gerarchica della Chiesa Cattolica con lo scopo di una rinascita spirituale della persona tramite una vita monastica ma senza voti), gli stregoni. La sua importanza declinò in modo considerevole nel sec. XV.
Nel 1542 Paolo III creò la Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione o Santo Uffizio, corte suprema d’appello per i processi d’eresia.
L’Inquisizione spagnola, invece, fu fin dall’origine sotto lo stretto controllo dello Stato e non della chiesa. Fu istituita nel 1478, con l’approvazione pontificia, da Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Diretta dapprima contro i marranos (ebrei) e i moriscos (musulmani), essa partecipò più tardi alla lotta contro i protestanti, in seguito all’editto del 1529 che decretava la pena di morte per gli eretici e coloro che non li denunciavano. Il primo grande inquisitore fu il domenicano Tomás de Torquemada (1420-1498), che diresse l’Inquisizione di Spagna per sedici anni (1483-1498) e lasciò un tragico ricordo: circa 2000 persone furono mandate al rogo sotto il suo governo. La procedura spesso sbrigativa dell’Inquisizione spagnola provocò le proteste della Santa Sede e Sisto IV si sforzò di fare ammettere gli appelli a Roma. Essa fu definitivamente soppressa nel 1820; il numero totale delle sue vittime è stato valutato intorno a 30.000.
da M. Mourre, Dizionario enciclopedico di storia, Mondadori, Milano 1988 (con modifiche e aggiunte)

Gregorio IX

mercoledì 26 settembre 2012

La Casa di Sassonia


L'Impero carolingio non sopravvisse a lungo e sulle sue rovine sorsero i primi regni feudali, le cui vicende dettero vita a quella che viene definita l'anarchia feudale. Fu Ottone I (figlio e successore di Enrico I di Sassonia, re di Germania), giunto al massimo della sua fama dopo avere sconfitto gli Ungari e gli Slavi, a ricostituire il Sacro romano impero, ma in veste germanica: a differenza di quello carolingio, esso escludeva la Francia e gravitava intorno alla Germania. Ecco un quadro sintetico della Casa di Sassonia:



Il destino dell'Impero Carolingio


Alla morte di Carlo Magno (814), l'impero passò all'unico figlio sopravissuto, Ludovico il Pio (814-840), il quale emanò due importanti documenti: l'Ordinatio Imperii (817 e, in una seconda formulazione, 829), in cui si stabiliva che la corona fosse trasmessa al figlio primogenito, Lotario, e che gli altri due figli (Carlo e Ludovico) gli si sottomettessero come re delle singole regioni; la Constitutio Romana (824), in realtà fatta emanare dal figlio Lotario, la quale decretava che il Papa, una volta eletto dal clero e dal popolo romano, dovesse giurare fedeltà all'Imperatore (sancendo, così, la superiorità dell'Impero sul Papato). Tuttavia, iniziò una lotta per la successione, che vide i fratelli minori alleati contro il maggiore (Giuramento di Strasburgo, 842, in lingua franca e germanica), conclusasi con il Trattato di Verdun (843), con cui l'Impero venne diviso fra i tre figli di Ludovico il Pio: Lotario ebbe il Regno d'Italia (il nord della penisola) e la Lotaringia (con il titolo imperiale), Ludovico (detto il Germanico) il Regno di Germania (Austria  e Alemagna), Carlo (detto il Calvo) il Regno di Francia. Nacquero così tre Regni separati, che nell'885 Carlo il Grosso (figlio di Ludovico II, erede di Lotario) riuscì a riunificare per breve tempo, fino all'887, quando si ebbe il definitivo smembramento dell'impero.



venerdì 7 ottobre 2011

domenica 12 dicembre 2010

Il “Testamento politico” di Lenin

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Consiglierei vivamente di intraprendere a questo congresso una serie di mutamenti nella nostra struttura politica.
Vorrei sottoporvi le considerazioni che ritengo più importanti.
In primo luogo propongo di elevare il numero dei membri del CC portandolo ad alcune decine o an­che a un centinaio. Penso che, se non intraprendessimo una tale riforma, grandi pericoli minacce­rebbero il nostro CC nel caso in cui il corso degli avvenimenti non ci fosse del tutto favorevole (cosa di cui non possiamo non tener conto).
Penso poi di sottoporre all’attenzione del congresso la proposta di dare, a certe condizioni, un ca­rattere legislativo alle decisioni dei Gosplan, andando così incontro, fino a un certo punto e a certe condizioni, al compagno Trotskji.
Per quel che riguarda il primo punto, cioè l’aumento del numero dei membri del CC, penso che ciò sia necessario e per elevare l’autorità del CC, e per lavorare seriamente al miglioramento del nostro apparato, e per evitare che conflitti di piccoli gruppi del CC possano avere una importanza troppo sproporzionata per le sorti di tutto il partito.
Io penso che il nostro partito abbia il diritto di esigere dalla classe operaia 50-100 membri del CC e che possa ottenerli senza un eccessivo sforzo da parte di essa.
Una tale riforma aumenterebbe notevolmente la solidità del nostro partito e faciliterebbe la lotta che esso deve condurre in mezzo a Stati nemici e che, a mio parere, potrà e dovrà acuirsi fortemente nei prossimi anni. Io penso che la stabilità del nostro partito guadagnerebbe enormemente da un tale provvedimento.
Per stabilità del Comitato centrale, di cui ho parlato sopra, intendo provvedimenti contro la scis­sione, nella misura in cui tali provvedimenti possano in generale essere presi. Perché, certo, la guar­dia bianca della Russkaia Mysl’ (mi pare fosse S. F. Oldenburg) aveva ragione quando, in primo luogo, faceva assegnamento, per quanto riguarda il loro gioco contro la Russia sovietica, sulla scis­sione del nostro partito, e quando, in secondo luogo, faceva assegnamento, per l’avverarsi di questa scissione, sui gravissimi dissensi nel partito.
Il nostro partito si fonda su due classi, e sarebbe perciò possibile la sua instabilità, e inevitabile il suo crollo, se tra queste due classi non potesse sussistere un’intesa. In questo caso sarebbe inutile prendere questi o quel provvedimenti e in generale discutere sulla stabilità del nostro CC. Non ci sono provvedimenti, in questo caso, capaci di evitare la scissione. Ma spero che questo sia un avve­nimento di un futuro troppo lontano e troppo inverosimile perché se ne debba parlare.
Intendo stabilità come garanzia contro la scissione nel prossimo avvenire, e ho l’inten­zione di esporre qui una serie di considerazioni di natura puramente personale.
Io penso che, da questo punto di vista, fondamentali per la questione della stabilità siano certi mem­bri del CC come Stalin e Trotskij.










I rapporti tra loro, secondo me, rappresentano una buona metà del pericolo di quella scissione, che potrebbe essere evitata e ad evitare la quale, a mio parere, dovrebbe servire, tra l’altro, l’aumento del numero dei membri del CC a 50 o a 100 persone.
Il compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D’altro canto, il compagno Trotskji come ha già dimostrato la sua lotta contro il CC nella questione del commissa­riato del popolo per i trasporti, si distingue non solo per le sue eminenti capacità. Personalmente egli è forse il più capace tra i membri del­l’attuale CC, ma ha anche una eccessiva sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a considerare il lato puramente amministrativo dei problemi.
Queste due qualità dei due capi più eminenti dell’attuale CC possono eventualmente portare alla scissione, e se il nostro partito non prenderà misure per impedirlo, la scissione può avvenire im­provvisamente.
Non continuerò a caratterizzare gli altri membri del CC secondo le loro qualità personali. Ricordo soltanto che l’episodio di cui sono stati protagonisti nell’ottobre Zinoviev e Kamenev
non fu certa­mente casuale, ma che d’altra parte non glielo si può ascrivere personalmente a colpa, così come il non bolscevismo a Trotskji.
Dei giovani membri del CC, voglio dire qualche parola su Bukharin e Piatakov. Sono queste, se­condo me, le forze più eminenti (tra quelle più giovani), e riguardo a loro bisogna tener presente quanto segue: Bukharin non è soltanto un validissimo e importantissimo teorico del partito, ma è considerato anche, giustamente, il prediletto di tutto il partito, ma le sue concezioni teoriche solo con grandissima perplessità possono essere considerate pienamente marxiste, poiché in lui vi è qualcosa di scolastico (egli non ha mai appreso e, penso, mai compreso pienamente la dialettica).
Ed ora Piatakov: è un uomo indubbiamente di grandissima volontà e di grandissime capacità, ma troppo attratto dal metodo amministrativo e dall’aspetto amministrativo dei problemi perché si possa contare su di lui per una seria questione politica.
Naturalmente, sia questa che quella osservazione sono fatte solo per il momento, nel presupposto che ambedue questi eminenti e devoti militanti trovino l’occasione di completare le proprie cono­scenze e di eliminare la propria unilateralità.

Aggiunta alla lettera del 24 dicembre 1922Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell’ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qua­lità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell’impedimento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin e Trotskji, non è una piccolezza, ovvero è una piccolezza che può avere un’importanza deci­siva.

Lenin, Lettera al Congresso, dicembre 1922 (resa nota ai delegati del XIII Congresso nel maggio 1924, ma pubblicata solo in occasione del XX Congresso del PCUS, del 1956).



martedì 19 ottobre 2010

La testimonianza di uno storico dell’epoca

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Quella contrada [la Lombardia] è tutta divisa in città, le quali hanno costretto quei del territorio loro a vivere in esse, e a stento si troverebbe uomo nobile o grande che abbia tanto potere da sottrarsi all’obbedienza verso le leggi della città sua. […] E affinché non manchi loro il mezzo per tenere a freno i vicini, essi [i Lombardi abitanti nelle città] non disdegnano di elevare al grado della cavalleria e ad ogni grado di autorità giovani di bassa estrazione e perfino operai di spregevoli arti meccaniche, che gli altri popoli allontanano come pestiferi dalle più nobili e liberali professioni. Onde avviene che essi avanzino ogni altro al mondo per ricchezza e potenza.
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Ottone (vescovo) di Frisinga, Gesta Friderici Imperatoris

lunedì 18 ottobre 2010

La voce di un oppositore dell’assolutismo

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Il vostro popolo, che voi dovreste amare come un figlio e che vi è stato finora così devoto, muore di fame. La coltivazione dei campi è quasi abbandonata; le città e la campagna si spopolano; tutti i mestieri languono, e non bastano più a nutrire gli operai. Tutto il commercio è annientato. In verità voi avete distrutto la metà delle reali forze interne del vostro Stato per conseguire e per difendere delle vane conquiste esterne. Invece di esigere del denaro da questo povero popolo, bisognerebbe fargli l’elemosina e nutrirlo… A tanto è ridotto questo gran regno così fiorente, sotto un re che tutti i giorni ci è dipinto come la delizia del popolo e che lo sarebbe veramente se i consigli degli adulatori non l’avessero avvelenato.
Per dire l’intera verità, il popolo stesso, che tanto vi amava e tanto confidava in voi, comincia a perdere l’affetto, la fiducia e persino il rispetto. Le vostre vittorie e le vostre conquiste non lo rallegrano più, esso è pieno di amarezza e di disperazione. La sedizione si accende a poco a poco da ogni parte. Essi ritengono che voi non abbiate alcuna pietà dei loro mali, che voi abbiate a cuore solo la vostra autorità e la vostra gloria… Che risposta daremo a tutto questo, Maestà?...
-François Fénelon, Lettera a Luigi XIV (il Re Sole)